Ferrovie abbandonate in Italia

Le ragioni dell'abbandono

Il 3 ottobre 1839, nel Regno delle Due Sicilie, nove carrozze trainate da una locomotiva a vapore progettata dall'ingegnere francese Armand Bayard inaugurarono la prima linea ferroviaria italiana, da Napoli a Granatello di Portici (7,6 km), alla presenza di Re Ferdinando II di Borbone.
Il nuovo mezzo di trasporto si rivelò ben presto una grande occasione di sviluppo, in grado di agevolare le comunicazioni tra i popoli e favorire il commercio verso mercati più ampi e lontani, e per tutto l'Ottocento la rete ferroviaria si espanse molto rapidamente: nel 1861, quando fu proclamato il Regno d'Italia, le strade ferrate si estendevano per 2.189 km, saliti a oltre 4.500 km nel 1865, a 11.003 km nel 1885 e a 16.429 km all'inizio del XX secolo. Nel 1871 si registrò però anche la prima chiusura di una linea ferroviaria in Italia: il 16 ottobre, con l'attivazione del traforo del Frèjus e il completamento della linea Torino-Modane, cessava il servizio la ferrovia del Moncenisio, attivata solo 3 anni prima, che costituì il primo collegamento tra Italia e Francia attraverso l’omonimo colle.
Superata la prima guerra mondiale, che determinò il passaggio all'Italia delle linee dell'Alto Adige e della Venezia Giulia, con l'avvento del fascismo riprese il processo di modernizzazione delle ferrovie: tra il 1922 e il 1940 furono raddoppiati 920 km di linee (in alcuni casi, come nel levante ligure, con la realizzazione di varianti e l'abbandono dei tracciati originari) e proseguì il programma di elettrificazione, che arrivò ad interessare nel 1939 oltre 5.100 km di linee.
 

La concorrenza del trasporto su gomma

Contemporaneamente andava crescendo la concorrenza del trasporto su gomma, sia per le merci che per i passeggeri, soprattutto sulle linee minori dove la brevità dei percorsi faceva preferire il mezzo stradale. I pesanti deficit portarono al fallimento di diverse società concessionarie e alla chiusura delle linee da esse gestite.

Ferrovia S. Ellero-Saltino

Tratto a cremagliera della ferrovia S. Ellero-Saltino, chiusa nel 1924

Scomparvero negli anni '20 del '900 le brevi linee Gozzano-Alzo e S. Ellero-Saltino, il tronco Schio-Torrebelvicino nel vicentino, il breve collegamento tra la stazione FS di Montepulciano e l'omonimo abitato in Toscana, e nel 1928 fu chiuso il transito internazionale di Valmorea, tra Lombardia e Svizzera, aperto solo due anni prima con il completamento della ferrovia Castellanza-Mendrisio.
La concorrenza automobilistica si accentuò negli anni '30, grazie alla possibilità di effettuare un trasporto più capillare e ai costi di gestione molto inferiori. Proseguirono così le chiusure, con altri 320 km di ferrovie minori, sparsi in tutta Italia, che furono soppressi tra il 1931 e il 1939. Sempre in quegli anni furono interrotti i lavori di costruzione di 270 km di ferrovie, a cui in molti casi mancava solo l'armamento: non videro mai transitare un treno le linee Santarcangelo di Romagna-Urbino, Udine-Majano e Udine-Castions in Friuli Venezia Giulia, Palermo-Salaparuta e Leonforte-Nicosia in Sicilia, Mirandola-Rolo e Formigine-Pavullo in Emilia Romagna.
La seconda guerra mondiale causò ingenti danni alla rete ferroviaria e alcune linee, già in crisi prima della guerra, non furono più riattivate. Cessarono definitivamente il servizio, tra il 1943 e il 1945, 460 km di ferrovie, tra cui la Arezzo-Fossato di Vico tra Toscana e Umbria, la Fermignano-Pergola nelle Marche, il tratto Grisignano di Zocco-Quinto di Treviso della più lunga relazione Ostiglia-Treviso in Veneto (completata solo 2 anni prima), la Pescolanciano-Agnone in Molise, la Massalombarda-Fontanelice in Emilia-Romagna, e molte altre linee minori.
 

I decenni più bui

La necessità di ripristinare nel più breve tempo possibile il servizio ferroviario ai livelli prebellici, portò a ricostruire le linee sui vecchi tracciati senza alcuna variante e correzione, invece di puntare all'ammodernamento e al potenziamento della rete; ciò segnò l'inizio di un periodo caratterizzato dalla soppressione di numerose linee, non più in grado di reggere la concorrenza di altri mezzi di trasporto in forte espansione come gli autobus e le automobili private.

Ferrovia Chiusa-Plan Val Gardena

Ferrovia Chiusa-Plan Val Gardena, dismessa nel 1960

Tra il 1950 e il 1959 furono soppressi quasi 1.200 km di ferrovie, considerate ormai dei "rami secchi", cui seguirono altri 1.300 km nel decennio successivo, sia tra la rete delle Ferrovie dello Stato che tra quella in concessione. Scomparvero in quel ventennio molte linee secondarie ricche di storia: la gran parte delle ferrovie a scartamento ridotto della Sicilia (Palermo-Burgio, Lercara Bassa-Magazzolo, Agrigento-Licata, Caltagirone-Dittaino-Leonforte, Siracusa-Ragusa); diverse linee in concessione, anch'esse a scartamento ridotto, della Sardegna (come la Tirso-Chilivani, la Sarcidano-Villacidro e la sua diramazione Villamar-Ales, la Monti-Luras); la ferrovia delle Dolomiti da Dobbiaco a Calalzo di Cadore; molte linee in concessione della pianura emiliana e romagnola (Modena-Ferrara, Modena-Mirandola, Piacenza-Bettole, Reggio Emilia-Boretto, Rimini-Novafeltria); le ferrovie della Val Gardena e della Val di Fiemme in Trentino-Alto Adige; la Spoleto-Norcia in Umbria; le ferrovie della Val Brembana e della Val Seriana in Lombardia; alcune linee a scartamento ridotto delle zone interne della Calabria (Soverato-Chiaravalle, Marina di Gioiosa-Mammola, Vibo Valentia-Mileto).
Dove il servizio non fu soppresso con un provvedimento normativo, la chiusura fu giustificata dai danni causati da eventi accidentali, come nel caso della ferrovia Lagonegro-Spezzano Albanese chiusa per il cedimento strutturale di un viadotto nel 1952, della tratta Capranica-Civitavecchia rimasta inutilizzata in seguito a una frana, o del tronco Castelvetrano-Salaparuta non più riattivato dopo i danni provocati dal terremoto della valle del Belice nel 1968. Furono infine definitivamente interrotti i lavori di costruzione di ulteriori 100 km di ferrovie (Canicattì-Riesi, Bertiolo-Gorizia, Portogruaro-Udine), che si aggiunsero alle incompiute dei decenni precedenti. Seppur con un ritmo minore le chiusure proseguirono anche nei decenni successivi, sempre per le stesse ragioni: tra il 1970 e il 1989 furono soppressi circa 1.000 km di ferrovie e ulteriori 300 km di linee cessarono il servizio negli anni '90. Tale sequenza di chiusure della seconda metà del XX secolo ha determinato la progressiva riduzione della rete ferroviaria italiana: le linee gestite dalle Ferrovie dello Stato, che nel 1956 avevano raggiunto un'estensione di 16.823 km, si sono ridotte progressivamente fino a 15.939 km nel 1993; analogamente le ferrovie in concessione, dopo il massimo sviluppo di 5.974 km raggiunto nel 1939, nel 1960 si erano già ridotte a 4.865 km e nel 2000 la loro estensione è ulteriormente scesa a soli 3.443 km.
 

L'ammodernamento delle rete e le grandi varianti di tracciato

Al fine di rilanciare il treno come mezzo di trasporto, tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli anni '80 prendeva avvio un programma di ammodernamento delle linee principali che, nei decenni successivi, determinò l'apertura di lunghe varianti di tracciato sulle linee Verona-Brennero, Bari-Taranto, Udine-Tarvisio, Pescara-Foggia, Bologna-Verona, Messina-Palermo e Genova-Ventimiglia, con il concomitante abbandono di oltre 650 km dei tracciati originari. Lavori di ammodernamento che sono tuttora in corso e causeranno l'abbandono di altre centinaia di chilometri di linee nel prossimo futuro.
Nel nuovo millennio la diffusione dell'alta velocità e dei servizi metropolitani ha favorito una rivalutazione del ruolo del treno, che non ha però arrestato le chiusure delle linee minori: dal 2010 ad oggi è stato sospeso il servizio ferroviario su oltre 800 km di linee, in particolare in Piemonte, in Puglia e in Calabria. Non vedono più circolare alcun treno, tra le altre, le ferrovie Asti-Mortara, Santhià-Arona, Gioia Tauro-Cinquefrondi, Alcamo-Trapani e Aosta-Prè S. Didier. Sospensione che di fatto, nella gran parte dei casi, si sta silenziosamente trasformando in una vera e propria soppressione.

Il patrimonio ferroviario abbandonato

Come conseguenza di tali vicende storiche oggi in Italia vi sono 5.670 km di linee ferroviarie o tronchi di linee ufficialmente soppressi o di fatto chiusi al traffico, sia viaggiatori che merci, a cui si aggiungono 1.200 km di tronchi ferroviari dismessi in seguito alla realizzazione delle principali varianti di tracciato e 410 km di sedi ferroviarie di linee incompiute, costruite interamente o quasi ma mai entrate in servizio. In totale 7.180 km di vecchi tracciati ferroviari abbandonati o non più utilizzati, equamente divisi tra la ex-rete delle Ferrovie dello Stato e quella in concessione, in parte a scartamento ordinario (4.140 km) e in parte a scartamento ridotto (3.040 km). Centinaia di ferrovie che non ci sono più e che hanno lasciato un grande vuoto, sia nella gente abituata a convivere con il treno, sia nei paesaggi attraversati: sedimi e binari abbandonati che sono stati progressivamente ricolonizzati dalla natura o riutilizzati come strade (solo un migliaio di chilometri sono stati recuperati e valorizzati come greenways); stazioni e case cantoniere trasformate in abitazioni private o demolite, vandalizzate e murate; ponti, viadotti e gallerie smantellati o lasciati in balia del loro destino, senza più alcuna cura e manutenzione. Un patrimonio da riscoprire, viaggiando nello spazio e nel tempo, anche con l'aiuto di questa sito web che, attraverso informazioni storiche, documenti e immagini, vuole stimolare il lettore a conoscere ed esplorare ciò che resta di questo affascinante mondo delle ferrovie dismesse.
 
Il patrimonio ferroviario abbandonato si può distinguere in tre categorie:

Mappa ferrovie abbandonate